'Perché come dice papa Francesco...'. Nella galassia pacifista italiana può succedere più e più volte di incappare in questa premessa all'inizio di un ragionamento. Una specie di sigillo di qualità preventivo delle proprie affermazioni, nella speranza di non venire arruolati nel campo dei nemici dell'Occidente. E allo stesso tempo un richiamo all'unica figura universalmente riconoscibile come portatrice dei valori di un pensiero pacifista radicale. Il pontificato di Francesco rappresenta infatti un passaggio rivoluzionario nella storia della Chiesa perché sin dal suo insediamento quel cattolicesimo definito del dissenso, guardato con sospetto dalle gerarchie per la pericolosa vicinanza con le forze progressiste e materialiste, non solo viene pienamente legittimato, ma anzi accolto ed eletto a interlocutore principale del papa. Il quel dissenso c'erano storicamente ampie sensibilità pacifiste che in passato si erano mosse e a volte saldate contro le cautele e il realismo delle gerarchie ecclesiastiche, dai Cristiani per il socialismo, a Pax Christi, dalla rete Lilliput a Beati i costruttori di pace, dalla Comunità di Sant'Egidio alla Comunità papa Giovanni XXIII. Furono coinvolti perfino alcuni settori di Comunione e Liberazione, basti pensare che, ad esempio, i giovani di CL nel Meeting di Rimini del 1981 votarono un documento contro l'installazione dei missili atomici a Comiso. Se papa Giovanni Paolo II diceva che la Chiesa «non è pacifista ma pacificatrice», un pò un modo per sfuggire a un possibile intruppamento in un contenitore storicamente progressista, oggi la Chiesa «è pacifista per ché crede e lotta per la pace», riprendendo un titolo dell'«Osservatore romano» che citava le parole del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.
Il discorso pubblico di José Bergoglio attorno al tema della pace, del disarmo e del rifiuto della violenza ha sempre avuto la caratteristica di privilegiare la schiettezza. Con lo scoppio della guerra in Ucraina è avvenuto lo stesso, se possibile alzando ulteriormente i toni di condanna e di disgusto di fronte all'escalation militare. Partendo sì dal presupposto che si stava trattando di un'aggressione militare, ma denunciando al contempo il clima bellicista in cui ci si stava avvitando.
[Matteo Pucciarelli in: "Guerra alla guerra. Guida alle idee e alle pratiche del pacifismo italiano. 2023]
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