Il caso a cui mi riferisco è intenzionalmente provocatorio, un viaggio nella vertigine mentale, ma è volto a far comprendere a quali storture la logica bellicista può essere piegata e come diventi funzionale alla giustificazione, quanto meno "psicologica" di ogni violenza.
Nella pluriennale esperienza di cappellano del carcere, mi è capitato più volte di conoscere e assistere spiritualmente detenuti in art. 41bis, cioè affiliati alla malavita organizzata: mafia, camorra, ndrangheta. I più erano personaggi minori, /picciotti/, gregari, bassa manovalanza del crimine, e tuttavia con reati gravi sulla propria fedina penale, non di rado omicidi.
Almeno nel proprio privato conducevano una vita regolare: una moglie o una convivente, dei figli, e molti legami parentali, di solito intensi e affettuosi. Anche la loro religiosità appariva sorprendentemente normale, in prevalenza di tipo devozionale, ma a volte anche accompagnata dalla lettura di testi sacri e, specie in carcere, nutrita dalla partecipazione alle liturgie e alle catechesi.
Ciò che spesso sconcertava nei colloqui era il desiderio di una vita diversa, tranquilla e quieta, sostenuta logicamente dal proposito di prendere le distanze dall'esistenza malavitosa precedente, senza tuttavia che ci fosse un dichiarato pentimento per ciò che era stato commesso, o meglio un autentico dolore per i reati di sangue di cui erano colpevoli. Il pentimento c'era, magari per le trasgressioni legate al malaffare, per le infedeltà all'amicizia, per le mancanze ai propri doveri di genitore, o per i tradimenti matrimoniali. Si poteva a volte aggiungere un senso di pietà per le vittime e per il dolore dei loro cari, ma di rado emergeva il rimorso per le uccisioni o le gravi violenze compiute.
Non so se per difesa inconscia o per una precisa formazione ricevuta tali violenze erano spiegate nell'inquadramento "militare" dell'associazione di cui avevano fatto parte: un atto di obbedienza dovuto al superiore, una necessità da cui non esimersi nello scontro tra piccoli eserciti che difendono i diritti delle proprie famiglie, la propria sopravvivenza e il proprio benessere o nel conflitto con lo Stato, sentito come nemico e straniero.
L'impressione è che la malavita organizzata sia un sistema sociale che si sostituisce alla società legittima e ne ricalca molti caratteri, mira al controllo del territorio e crea reti di interessi economici e sociali, fornendo una giustificazione che rassicura il soggetto singolo e permette addirittura di far convivere l'atto violento e la preghiera, la lotta cruenta con l'avversario e l'invocazione per essere protetto. E come sui campi di battaglia si benedicono i soldati che vanno a morire e a uccidere, convinti che stanno compiendo il proprio dovere e stanno difendendo i confini patri o i diritti della propria nazione o gli interessi del proprio sistema sociale, così il /picciotto/ prega, si raccomanda ai santi e alla Madonna, prima di affrontare in armi il nemico.
Questo uso mostruoso del modello della "guerra" che spiega e razionalizza la violenza, rendendola accettabile alla coscienza, per quanto erronea, mette in luce a mio avviso il suo assurdo dispositivo e ci pone drammatici interrogativi su qualsiasi logica militare.
[Estratto da "Roberto Filippini: Il Vangelo della Pace. Caso serio di credibilità". 2015]
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