mercoledì 24 gennaio 2024

Strategie per la pace

   Non cedere all'odio
In un brano del Vangelo di Luca, Gesù dà ai discepoli  alcune indicazioni fondamentali di vita. Il Signore si riferisce alle situazioni più difficili, quelle che costituiscono per noi il banco di prova, quelle che ci mettono di fronte a chi ci è nemico e ostile, a chi cerca sempre di farci del male.
In questi casi il discepolo di Gesù è chiamato a non cedere all'istinto e all'odio, ma  ad andare oltre, molto oltre. Andare oltre l'istinto, andare oltre l'odio. Gesù dice: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27). E ancora più concreto: «A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra» (v.29). Quanto noi sentiamo questo, ci sembra che il Signore chieda l'impossibile. E poi, perché amare i nemici? Se non si reagisce ai prepotenti, ogni sopruso ha via libera, e questo non è giusto. Ma è proprio così? Davvero il Signore ci chiede cose impossibili, anzi ingiuste? É così? 
  Consideriamo anzitutto quel senso di ingiustizia che avvertiamo nel "porgi l'altra guancia". E pensiamo a Gesù. Durante la Passione, nel suo ingiusto processo davanti al sommo sacerdote, a un certo punto riceve uno schiaffo da una delle guardie. E Lui come si comporta? Non lo insulta, no, dice alla guardia: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23). Chiede conto del male ricevuto. Porgere l'altra guancia non significa subire in silenzio, cedere all'ingiustizia. Gesù con la sua domanda denuncia ciò che è ingiusto. Però lo fa senza ira, senza violenza, anzi con gentilezza. Non vuole innescare una discussione, ma disinnescare il rancore, questo è importante: spegnere insieme l'odio e l'ingiustizia, cercando di recuperare il fratello colpevole. Non è facile questo, ma Gesù lo ha fatto e ci dice di farlo anche noi. Questo è porgere l'altra guancia: la mitezza di Gesù è una risposta più forte della percossa che ha ricevuto. Porgere l'altra guancia non è il ripiego del perdente, ma l'azione di chi ha una forza interiore più grande. Porgere l'altra guancia è vincere il male con il bene, che apre una breccia nel cuore del nemico, smascherando l'assurdità del suo odio. E questo atteggiamento, questo porgere l'altra guancia, non è dettato dal calcolo o dall'odio, ma dall'amore. Cari fratelli e sorelle, è l'amore gratuito e immeritato che riceviamo da Gesù a generare nel cuore un modo di fare simile al suo, che rifiuta ogni vendetta. Noi siamo abituati alle vendette: "Mi hai fatto questo, io ti farò quell'altro", o a custodire nel cuore questo rancore, rancore che fa male, distrugge la persona.

  Veniamo all'altra obiezione: è possibile che una persona giunga ad amare i propri nemici? Se dipendesse solo da noi , sarebbe impossibile. Ma ricordiamoci che, quando il Signore chiede qualcosa, vuole donarla. Mai il Signore ci chiede qualcosa che Lui non ci dà prima. Quando mi dice di amare i nemici, vuole darmi la capacità di farlo. Senza quelle capacità noi non potremmo, ma Lui ti dice: «Ama il nemico» e ti dà la capacità di amare. Sant'Agostino pregava così - ascoltate che bella preghiera questa -: Signore, «dammi ciò che chiedi e chiedimi ciò che vuoi» (Confessioni, X, 29.40), perché me lo hai dato prima. Che cosa chiedergli? Che cosa Dio è contento di donarci? La forza di amare, che non è una cosa, ma è lo Spirito Santo.
  La forza di amare è lo Spirito Santo, e con lo Spirito di Gesù possiamo rispondere al male con il bene, possiamo amare chi ci fa del male. Così fanno i cristiani. Com'è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra! É molto triste.
  E noi, proviamo a vivere gli inviti di Gesù? Pensiamo a una persona che ci ha fatto del male. Ognuno pensi a una persona.  É comune che abbiamo subito il male da qualcuno, pensiamo a quella persona. Forse c'è del rancore dentro di noi. Allora, a questo rancore affianchiamo l'immagine di Gesù, mite, durante il processo, dopo lo schiaffo. E poi chiediamo allo Spirito Santo di agire nel nostro cuore. Infine preghiamo per quella persona: pregare per chi ci ha fatto del male.
  Noi, quando ci hanno fatto qualcosa di male, andiamo subito a raccontarlo agli altri e ci sentiamo vittime. Fermiamoci, e preghiamo il Signore per quella persona, che l'aiuti, e così viene meno questo sentimento di rancore. Pregare per chi ci ha trattato male è la prima cosa per trasformare il male in bene.

  Essere piccoli per arrivare alla pace.

In un passo del Vangelo di Marco vediamo una reazione di Gesù piuttosto insolita: si indigna. E quello che più sorprende è che la sua indignazione non è causata dai farisei che lo mettono alla prova [...] ma dai suoi discepoli che, per proteggerlo dalla ressa della gente, rimproverano alcuni bambini che vengono portati da Gesù. In altre parole , il Signore non si sdegna con chi discute con Lui, ma con chi, per sollevarlo dalla fatica, allontana da Lui i bambini. Perché? É una bella domanda: perché il Signore fa questo?
  Ci ricordiamo che Gesù, compiendo il gesto di abbracciare un bambini, si era identificato con i piccoli: aveva insegnato che proprio i piccoli, cioè coloro che dipendono dagli altri, che hanno bisogno e non possono restituire, vanno serviti per primi. Chi cerca Dio lo trova lì, nei piccoli, nei bisognosi: bisognosi non solo di beni, ma di cura e di conforto, come i malati, gli umiliati, i prigionieri, gli immigrati, i carcerati. Lì c'è Lui: nei piccoli. Ecco perché Gesù si indigna: ogni affronto fatto a un piccolo, a un povero, a un bambino, a un indifeso, è fatto a Lui.
  Qui il Signore riprende questo insegnamento e lo completa. Infatti aggiunge: «Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15). Ecco la novità: il discepolo non deve solo servire i piccoli, ma riconoscersi lui stesso piccolo. E ognuno di noi, si riconosce piccolo davanti a Dio? Pensiamoci, ci aiuterà. Sapersi piccoli, sapersi bisognosi di salvezza,. è indispensabile per accogliere il Signore. É il primo passo per aprirci a Lui. Spesso , però, ce ne dimentichiamo. Nella prosperità, nel benessere, abbiamo l'illusione di essere autosufficienti, di bastare a noi stessi, di non aver bisogno di Dio. Fratelli e sorelle, questo è un inganno, perché ognuno di noi è un essere bisognoso, un piccolo. Dobbiamo cercare la nostra propria piccolezza e riconoscerla. E lì troveremo Gesù.
  Nella vita riconoscersi piccoli è un punto di partenza per diventare grandi. Se ci pensiamo, cresciamo non tanto in base ai successi e alle cose che abbiamo, ma soprattutto nei momenti di lotta e di fragilità. Lì, nel bisogno, maturiamo; lì apriamo il cuore a Dio, agli altri, al senso della vita. Apriamo gli occhi agli altri. Apriamo gli occhi, quando siamo piccoli, al vero senso della vita. Quando ci sentiamo piccoli di fronte a un problema, piccoli di fronte a una croce, a una malattia, quando proviamo fatica e solitudine, non scoraggiamoci. Sta cadendo la maschera della superficialità e sta emergendo la nostra radicale fragilità: è la nostra base comune, il nostro tesoro, perché con Dio  le fragilità non sono ostacoli, ma opportunità. Una bella preghiera sarebbe questa: "Signore, guarda le mie fragilità..." ed elencarle davanti a Lui. Questo è un buon atteggiamento davanti a Dio.
  Infatti, proprio nella fragilità scopriamo quanto Dio si prende cura di noi. Il Vangelo ci dice che Gesù è tenerissimo con i piccoli: «Prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro» (ivi, v. 16). Le contrarietà, le situazioni che rivelano la nostra fragilità sono occasioni privilegiate per fare esperienza del  suo amore. Lo sa bene chi prega con perseveranza: nei momenti bui o di solitudine, la tenerezza di Dio verso di noi si fa - per così dire - ancora più presente. Quando noi siamo piccoli, la tenerezza di Dio la sentiamo di più . Questa tenerezza ci dà pace, questa tenerezza ci fa crescere, perché Dio si avvicina col suo modo,  che è vicinanza, compassione e tenerezza. E quando noi ci sentiamo poca cosa, cioè piccoli, per qualsiasi motivo, il Signore si avvicina di più, lo sentiamo più vicino. Ci dà pace, ci fa crescere. Nella preghiera il Signore ci stringe a sé, come un papà col suo bambino. Così diventiamo grandi: non nell'illusoria pretesa della nostra autosufficienza - questo non fa grande nessuno - ma nella fortezza di riporre nel Padre ogni speranza. Proprio come fanno i piccoli, fanno così.

  Riconciliare

  La settima beatitudine [è dedicata agli] "operatori di pace", che vengono proclamati figli di Dio. [...] Per capire questa beatitudine bisogna spiegare il senso della parola "pace", che può essere frainteso o alle volte banalizzato. Dobbiamo orientarci fra due idee di pace: la prima è quella biblica, dove compare la bellissima parola shalom, che esprime abbondanza, floridezza, benessere. Quando in ebraico si augura shalom, si augura una vita bella, piena, prospera, ma anche secondo la verità e la giustizia, che avranno compimento nel Messia, principe della pace.
  C'è poi l'altro senso, più diffuso, per cui la parola "pace" viene intesa come una sorta di tranquillità interiore: sono tranquillo, sono in pace. Questa è un'idea moderna, psicologica e più soggettiva. Si pensa comunemente che la pace sia quiete, armonia, equilibrio interno. Questa accezione della parola "pace" è incompleta e non può essere assolutizzata, perché nella vita l'inquietudine può essere un importante momento di crescita. Tante volte è il Signore stesso che semina in noi l'inquietudine per andare incontro a Lui, per trovarlo. In questo senso è un importante momento di crescita; mentre può capitare che la tranquillità interiore corrisponda a una coscienza addomesticata e non a una vera redenzione spirituale. Tante volte il Signore deve essere "segno di contraddizione" (cfr. Lc 2,34-35), scuotendo le nostre false sicurezze, per portarci alla salvezza. E in quel momento sembra di non avere pace, ma è il Signore che ci mette su questa strada per arrivare alla pace che Lui stesso ci darà. 
  A questo punto dobbiamo ricordare che il Signore intende la sua pace come diversa da quella umana, quella del mondo, quando dice: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò a voi» (Gv 14,27). Quella di Gesù è un'altra pace, diversa da quella mondana.
  Domandiamoci: come dà la pace il mondo? Se pensiamo ai conflitti bellici, le guerre si concludono, normalmente in due modi: o con la sconfitta di una delle due parti, oppure con dei trattati di pace. Non possiamo che auspicare e pregare perché si imbocchi sempre questa seconda via; però dobbiamo considerare che la storia è un'infinita serie di trattati di pace smentiti da guerre successive, o dalla metamorfosi di quelle stesse guerre in altri modi o in altri luoghi. Anche nel nostro tempo, una guerra "a pezzi" viene combattuta su più scenari e in diverse modalità. Dobbiamo perlomeno sospettare che ne quadro di una globalizzazione fatta soprattutto di interessi economici e finanziari, la "pace" di alcuni corrisponda alla "guerra" di altri. E questa non è la pace di Cristo!
 Invece, come"dà" la sua pace il Signore Gesù? San Paolo dice che la pace di Cristo è "fare di due, uno", annullare l'inimicizia e riconciliare. E la strada per compiere questa opera di pace è il suo corpo. Egli infatti riconcilia tutte le cose e mette pace con il sangue della sua croce, come dice altrove lo stesso Apostolo.
  E qui mi domando, possiamo tutti domandarci: chi sono, quindi, gli "operatori di pace"? la settima beatitudine è la più attiva, esplicitamente operativa; l'espressione verbale è analoga a quella usata nel primo versetto della Bibbia per la creazione e indica iniziativa e laboriosità. L'amore per sua natura è creativo - e cerca la riconciliazione a qualunque costo. Sono chiamati figli di Dio coloro che hanno appreso l'arte della pace e la esercitano, sanno che non c'è riconciliazione senza dono della propria vita, e che la pace va cercata sempre e comunque. Sempre e comunque: non dimenticatevi questo! Va cercata così. Questa non è un'opera autonoma frutto delle proprie capacità, è manifestazione della grazia ricevuta da Cristo, che è nostra pace, che ci ha resi figli di Dio.
  La vera shalom e il vero equilibrio interiore sgorgano dalla pace di Cristo, che viene dalla sua croce e genera un'umanità nuova, incarnata in un'infinita schiera di santi e sante, inventivi, creativi, che hanno escogitato vie sempre nuove per amare. I santi, le sante che costruiscono la pace. Questa vita da figli di Dio, che per il sangue di Cristo cercano e ritrovano i propri fratelli, è la vera felicità. Beati coloro che vanno per questa via.

[papa Francesco in: "Che la pace sia con te. La guerra non è mai inevitabile" 2022]

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