"Andavo con il chiedermi quando don Lorenzo si fosse messo sulla via della pace, senza riuscire a trovare quand'è che fosse avvenuto.
Egli non aveva scritto trattati sulla pace, né perlato di educazione ad essa, o istituito conferenze sull'argomento, e tanto meno aveva attuato per se stesso, o con i suoi ragazzi, degli atti pacifisti dirompenti, di quelli che fisicamente sfidano gli atti più violenti e li vincono con la sola forza del porgere l'altra guancia, opponendo al dominio del male la resistenza passiva della sofferenza.
A molti poi, laici e uomini di Chiesa, la sua azione appariva essere più l'azione di un seminatore di zizzania che quella di un costruttore di pace.
E come dar torto a costoro, se lo stesso don Lorenzo affermava:
«Io al mio popolo gli ho tolto la pace. Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti schieramenti di pensiero. Ho sempre affrontato le anime e le situazioni con la durezza che si addice al maestro. Non ho avuto né educazione, né riguardo, né tatto. Mi sono attirato contro un mucchio di odio, ma non si può negare che tutto questo ha elevato il livello degli argomenti di conversazione e di passione del mio popolo». [Don Lorenzo Milani. Esperienze pastorali, p.146.]
Ora, non c'è dubbio che in questa affermazione vi possano essere passaggi poco chiari e, se vogliamo, anche un pochino discutibili, come può essere l'espressione: «Io al mio popolo gli ho tolto la pace».
Ma è anche vero che, se guardiamo a quel che era stato l'inizio del suo apostolato a San Donato di Calenzano, vi vediamo un uomo e un prete che ha ben chiaro il concetto di pace come lotta per la giustizia con i soli mezzi della vera giustizia, che sono tutti tesi a una soluzione costruttiva dei conflitti, ma che nulla hanno a che spartire con l'amor di quieto vivere.
Ci basti pensare al suo intervento alla Conferenza di Doccia, sulla vicenda dei licenziamenti in una fabbrica di ceramiche, che fu più un togliere dal quieto vivere che togliere la pace. Traendone, purtroppo, un silenzio penoso proprio da chi egli, con verità, aveva difeso: i poveri.
Attratta, quindi, dalle parole di don Lorenzo , e in particolare dall'espressione: «Io al mio popolo gli ho tolto la pace», seguita da una conclusione positiva di elevazione morale e spirituale del popolo... mi proposi di capire dove stava il nesso fra don Milani e la pace, e tornai con insistenza a chiedermi quando don Lorenzo si fosse messo sulla «via della pace».
Forse quando riconosce al povero, come unici mezzi di lotta per il proprio riscatto da una condizione di miseria morale e sociale, tre strumenti nonviolenti: la parola, il voto, lo sciopero? O forse quando, nella Risposta ai cappellani militari e nella Lettera a i giudici, affronta il discorso dell'obiezione di coscienza, giungendo da questa al tema dell'obbedienza, della responsabilità individuale e del valore della coscienza?
Sì, forse, anche; ma io sentivo che c'era di più. Perché la pace prima di essere un fatto esteriore è un fatto interiore, e non basta l'aver scioperato o digiunato per una causa giusta per potersi dire sulla via della pace.
Occorre, prima d'ogni altra cosa, un lavoro su se stessi che va oltre la trasformazione non violenta dei conflitti, benché questo sia già un impegno grandemente nobile.
[Maria Grazia Fida in: "Educare alla pace. La via di don Milani. 2012]
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