[..] Con i suoi tredici anni Liliana si trova davanti il suo aguzzino nazista che goffamente si toglie la sua divisa per tentare di salvare la pelle, lasciandole la pistola ai piedi. Dalle fibre incorrotte della sua umanità calpestata emerge un gesto che cambia tutto. Liliana non raccoglie quella pistola, non spara perché dice a se stessa, in un immaginario dialogo con lui: «Ti lascio andare, ti lascio tornare alla tua casa, a tua moglie, ai tuoi figli».
La sua testimonianza s'è calata nel profondo della mia anima. L'ho ripresa decine di volte, nelle circostanze più diverse, fino a sentirla al vertice di quello che chiamo "l'umano". Indica la via che schiude alla pace con una drammaticità unica. Il gesto che l'ebrea Liliana conserva in silenzio per lunghissimi anni è un gesto di bene inesauribile, che dissolve lentamente il male subito. Poi può essere comunicato, disseminato: «Io scelsi la vita e da quel momento sono diventata libera».
Un gesto di pietà verso il nemico, fecondo di salvezza per altri. Un passo che toglie a Liliana l'etichetta angusta della "sopravvissuta" - e Dio sa quanti non ne hanno sopportato il peso! - gettandola fuori da Auschwitz in una vita nuova. In quel gesto si sono spezzati i cancelli e i fili spinati interiori. Nel "lasciare andare" una persona,il nemico, ha lasciato andare il male e i suoi effetti, prendendone le distanze per sempre.
Non ha dimenticato, Liliana, ma è entrata in quella dinamica di riconciliazione che mezzo secolo più tardi, in Sudafrica, ha alimentato la giustizia riparativa da parte della vittima: generare un inizio senza vendicarsi. Un inizio sorprendente, una fessura, anzi uno squarcio da cui il futuro ha ripreso consistenza e luce, mentre il male vissuto si è inabissato nel nulla. Come tanti altri ebrei, Liliana negli anni è stata capace di "far memoria", a prezzo della sofferenza catartica di rivivere il tragico passato.
[estratto da: Franco Vaccari "stoRYcycle - la bellezza di storie rovesciate" 2018]
Nessun commento:
Posta un commento