martedì 16 gennaio 2024

L'aberrante logica militare della malavita organizzata

Il caso a cui mi riferisco è intenzionalmente provocatorio, un viaggio nella vertigine mentale, ma è volto a far comprendere a quali storture la logica bellicista può essere piegata e come diventi funzionale alla giustificazione, quanto meno "psicologica" di ogni violenza.

Nella pluriennale esperienza di cappellano del carcere, mi è capitato più volte di conoscere e assistere spiritualmente detenuti in art. 41bis, cioè affiliati alla malavita organizzata: mafia, camorra, ndrangheta. I più erano personaggi minori, /picciotti/, gregari, bassa manovalanza del crimine, e tuttavia con reati gravi sulla propria fedina penale, non di rado omicidi.

Almeno nel proprio privato conducevano una vita regolare: una moglie o una convivente, dei figli, e molti legami parentali, di solito intensi e affettuosi. Anche la loro religiosità appariva sorprendentemente normale, in prevalenza di tipo devozionale, ma a volte anche accompagnata dalla lettura di testi sacri e, specie in carcere, nutrita dalla partecipazione alle liturgie e alle catechesi.

Ciò che spesso sconcertava nei colloqui era il desiderio di una vita diversa, tranquilla e quieta, sostenuta logicamente dal proposito di prendere le distanze dall'esistenza malavitosa precedente, senza tuttavia che ci fosse un dichiarato pentimento per ciò che era stato commesso, o meglio un autentico dolore per i reati di sangue di cui erano colpevoli. Il pentimento c'era, magari per le trasgressioni legate al malaffare, per le infedeltà all'amicizia, per le mancanze ai propri doveri di genitore, o per i tradimenti matrimoniali. Si poteva a volte aggiungere un senso di pietà per le vittime e per il dolore dei loro cari, ma di rado emergeva il rimorso per le uccisioni o le gravi violenze compiute.

Non so se per difesa inconscia o per una precisa formazione ricevuta tali violenze erano spiegate nell'inquadramento "militare" dell'associazione di cui avevano fatto parte: un atto di obbedienza dovuto al superiore, una necessità da cui non esimersi nello scontro tra piccoli eserciti che difendono i diritti delle proprie famiglie, la propria sopravvivenza e il proprio benessere o nel conflitto con lo Stato, sentito come nemico e straniero.

L'impressione è che la malavita organizzata sia un sistema sociale che si sostituisce alla società legittima e ne ricalca molti caratteri, mira al controllo del territorio e crea reti di interessi economici e sociali, fornendo una giustificazione che rassicura il soggetto singolo e permette addirittura di far convivere l'atto violento e la preghiera, la lotta cruenta  con l'avversario e l'invocazione per essere protetto. E come sui campi di battaglia si benedicono i soldati che vanno a morire e a uccidere, convinti che stanno compiendo il proprio dovere e stanno difendendo i confini patri o i diritti della propria nazione o gli interessi del proprio sistema sociale, così il /picciotto/ prega, si raccomanda ai santi e alla Madonna, prima di affrontare in armi il nemico.

Questo uso mostruoso del modello della "guerra" che spiega e razionalizza la violenza, rendendola accettabile alla coscienza, per quanto erronea, mette in luce a mio avviso il suo assurdo dispositivo e ci pone drammatici interrogativi su qualsiasi logica militare.

[Estratto da "Roberto Filippini:  Il Vangelo della Pace. Caso serio di credibilità". 2015]


lunedì 15 gennaio 2024

Don Lorenzo Milani ci disse: dovete lasciare l'Università

Quando ero studente all'Università di Firenze, scoppiò in quella città la polemica tra Don Lorenzo Milani (esiliato a Barbiana dall'arcivescovo Florit) e i cappellani militari, capeggiati da un profugo istriano che si diceva essere vicino al MSI. I preti con le stellette avevano definito "viltà" l'obiezione di coscienza, allora punita senz'altro con il carcere, ed avevano approfittato - se ricordo bene - dell'anniversario del concordato lateranense tra Fascismo e Vaticano per riconfermare la loro vocazione statalista patriottica e di appoggio alle gerarchie militari. Don Lorenzo Milani aveva risposto a loro su "rinascita",  guadagnandosi - insieme al direttore responsabile della rivista comunista - un processo. Personalmente ero fortemente tentato dall'idea dell'obiezione di coscienza, e al tempo stesso spaventato dal rischio carcerario che essa avrebbe comportato: per intanto avevo risolto il problema con il rinvio per motivi di studio. Ovviamente il "caso Don Milani" e la sua presa di posizione sull'obbedienza che non era più una virtù mi colpivano profondamente ed esprimevano una posizione morale ed esistenziale in cui anch'io mi riconoscevo.

Volevo sapere di più su don Lorenzo Milani, e venni informato di un suo libro uscito qualche anno prima e tolto dalla circolazione per disposizione dell'autorità ecclesiastica (sempre il medesimo Florit, succeduto al tollerante e lungimirante cardinale Dalla Costa, che era stato molto venerato da Giorgio La Pira). Mi feci dire il modo di procurarmi quel "samizdat": bisognava andare alla Libreria Editrice Fiorentina, in via Ricasoli, individuare un certo libraio e dirgli con sguardo complice: "sono uno dei ragazzi di don Lorenzo e dovrei prendermi il suo libro"; così feci, dopo di che ricevetti regolarmente una copia di /Esperienze pastorali/, tolta dall'armadietto dei veleni. Era per me un libro di difficile lettura, perché fortemente ancorato - anche nel linguaggio - alla realtà toscana, dove per esempio gli operai godevano di un prestigio sociale infinitamente superiore a quello dei contadini:  tutto il contrario del Sudtirolo, e quindi per me quasi incomprensibile, come molte delle parole usate nel libro ("i pigionali", per esempio).  Ma avevo capito una cosa determinante: che don Lorenzo Milani aveva deciso di voler parlare "ai poveri" e che per poterlo fare doveva prima "dare loro la parola":  così aveva deciso di fare scuola, come presupposto essenziale di evangelizzazione. Caduto in odore di filo-comunismo, era stato tolto dalla circolazione, come il suo libro: mandarlo a Barbiana, significava renderlo muto ed isolato.
Con un amico andai a trovarlo, dopo lo scoppio della polemica sull'obiezione di coscienza. Ci ricevette nella sua canonica, rubando un pò di tempo ai ragazzi ed alla scuola. Due tra le cose da lui dette mi sono rimaste particolarmente impresse.
/"Dovete abbandonare l'Università. Voi non fate altro che aumentare la distanza che c'è tra voi e la grande massa della gente non istruita. Fate piuttosto qualcosa per colmare quella distanza. Portate gli altri al livello in cui voi vi trovate oggi, e poi tutti insieme si farà un passo avanti, e poi un altro ancora, e così via. Ma se voi continuate a correre, gli altri non vi raggiungeranno mai.So bene che potrete trovare altri - anche preti! - che vi diranno il contrario e che vi troveranno mille buone ragioni per continuare i vostri studi e per diventare dei bravi medici o giudici o scienziati al servizio del popolo. Ma in realtà sarete al servizio solo del vostro privilegio - per curare le nostre malattie e per decidere le cause nei tribunali ci bastano i mercenari pagati, non c'è bisogno di voi"/
(Non lasciammo l'Università. Ma demmo inizio ad un doposcuola a Vingone, presso Scandicci, basato sul volontariato di parecchi universitari, e frequentato prevalentemente da figli di immigrati meridionali).
/"Io so come andrà il giudizio universale. Il Signore Iddio chiamerà, insieme a me, davanti a sé il rettore del collegio ... dei gesuiti a Milano. Dirà al rettore: "vedi, tu sei stato sempre con i ricchi. Hai fatto le loro stesse letture, hai condiviso la loro compagnia, sei strato loro commensale, hai educato i loro figli - non puoi non essere diventato come loro. Hai sbagliato tutto, credendo magari di fare bene. Hai chiuso gli occhi davanti a coloro che rappresentavano me, e ti sei immedesimato nei loro oppressori. Guarda invece don Lorenzo che è qui accanto a te: lui ha scelto unilateralmente. Lui ha capito che non si possono amare concretamente più di 3-400 persone, ed ha scelto i poveri, i suoi campagnoli. Si è messo dalla loro parte, ha condiviso il loro mondo. Questo io vi avevo comandato, e tu non hai voluto ascoltare". Ma siccome il Signore è buono, alla fine gli darà un calcio nel sedere e lo farà entrare nel paradiso, mentre io entrerò con tutti gli onori. Capite? Se voi state con i ricchi, non potete non diventare come loro, se non lo siete già."/
Ad un certo punto don Milani aveva proibito l'accesso a Barbiana a tutti quelli che avessero un titolo di studio superiore alla terza media, a meno che non fossero chiamati esplicitamente da lui e per una funzione precisa (a me capitò solo una o due volte). Tra le rare eccezioni c'era un'anziana donna ebrea boema, laureata in matematica, sopravvissuta al periodo nazista grazie all'aiuto di amici toscani che l'avevano tenuta nascosta in montagna. Marianne Andre arrivava a Barbiana a piedi, con il suo zaino, e stava ad ascoltare in grande modestia, parlando solo quando veniva invitata ad esprimersi. Diventammo amici e scoprii che aveva conosciuto mio padre. Dopo la morte di don Milani decisi di tradurre /Lettera a una professoressa/ in tedesco e di cercare un editore (che ho trovato in Wagenbach), associando a questa impresa - in particolare per la revisione del testo tedesco - anche Marianne Andre, che ne era molto felice. La ragione del suo  privilegio a Barbiana aveva una spiegazione semplice: era una perseguitata, che già aveva perso tutti gli altri suoi privilegi legati alla sua istruzione e condizione sociale.
Due cose mi avevano sempre incuriosito e non convinto in don Milani, ma non ho mai trovato il coraggio e l'occasione di chiedergliene ragione. Avevo tentato di chiederlo, dopo la sua morte, a sua madre ( che era sopravvissuta a lui, e che non si è mai fatta battezzare), ma mi ero poi arrestato sulla soglia di queste due domande, che quindi rimangono senza risposta.
Avrei voluto capire quale eredità don Milani aveva ricevuto e conservato dall'ebraismo, che lui aveva abbandonato per convertirsi ad un rigoroso cattolicesimo.
Ed avrei voluto domandargli la ragione della sua (eccessiva, secondo me) fiducia nelle grandi aggregazioni (la chiesa, la DC, i comunisti, il sindacato ...), e della sua diffidenza e forse disprezzo per le minoranze ( ii "filo-cinesi", il Psiup di allora, gli "estremisti", le minoranze laico-radicali ...). Avevo capito che lui credeva molto nelle grandi culture popolari e nella necessità che le idee forti si facessero strada in modo non elitario tra le grandi masse. Ma ho sempre avuto il sospetto che questa impostazione facesse in qualche modo violenza alla sua stessa storia, tutta quanta: dalla sua origine, al suo cammino nella chiesa fiorentina, fino all'esilio di Barbiana ed a quell'ultima sua disperata attesa di un cenno di riconoscimento e di apprezzamento da parte del suo vescovo e persecutore, il cardinale Florit.
Forse la prima domanda riceve implicitamente risposta dalla seconda, e dalla legge formale della chiesa, vissuta con la tenacia del "popolo della legge" e con la caparbietà di un profeta che vuole indurre le corti ed i sommi sacerdoti a cambiare strada.  [da "Azione nonviolenta", giugno 1987]
[Estratto da "Alexander Langer - Il viaggiatore leggero. Scritti 1965-1995" 2015]

mercoledì 21 settembre 2022

La Speranza attiva non costruisce castelli in aria

" La Speranza attiva non costruisce castelli in aria.
La Speranza attiva non aspetta di essere salvata
dal Cavaliere solitario o da qualche altro eroe.
La Speranza attiva risveglia in noi il senso della bellezza,
ci ricorda che possiamo agire per conto della vita.
Apparteniamo a questo mondo.
La rete della vita ci sta chiamando, ora.
Veniamo da lontano e siamo qui, per fare la nostra parte.
Con la Speranza attiva ci accorgiamo delle avventure che ci attendono.
Abbiamo poteri da risvegliare, compagni da prendere per mano.
La Speranza attiva è disponibilità a mettersi in gioco.
La Speranza attiva è disponibilità a scoprire il potere:
il nostro e quello degli altri,
disponibilità a scoprire che abbiamo ragioni per sperare
e occasioni di amare.
Disponibilità a scoprire la grandezza e la forza dei nostri cuori,
la rapidità della mente, la coerenza dell’intento,
la nostra autorevolezza, il nostro amore per la vita,
la vitalità della nostra curiosità,
le insospettate profondità di pazienza e determinazione,
l’acume dei nostri sensi, la nostra abilità nel condurre.
Nessuna di queste cose può essere scoperta dal divano, né senza rischi."
(Joanna Macy, Chris Johnstone  "SPERANZA ATTIVA - Come affrontare la catastrofe senza perdere la ragione")

Il nostro viaggio inizia con questo tipo di speranza

" Il nostro viaggio inizia con questo tipo di speranza:
sapere cosa desideriamo, cosa vorremmo che succedesse. Come scegliamo di agire? Una speranza passiva resta ferma ad aspettare che poteri al di fuori di noi ci diano ciò che più desideriamo. Coltivare la Speranza attiva significa diventare partecipi nel realizzare ciò che più vogliamo.
La Speranza attiva è una pratica. Come il tai-chi o il giardinaggio, è una cosa che si fa più che una cosa che si ha. È un processo, che possiamo applicare a ogni situazione, in tre passaggi principali. Anzitutto, avere chiara la realtà. In secondo luogo, stabilire cosa desideriamo, in che direzione ci vogliamo spostare e quali valori vorremmo vedere espressi. Terzo, agire, fare qualcosa per spostarci in quella direzione.
La Speranza attiva non richiede il nostro ottimismo: la possiamo praticare anche quando ci sentiamo disperati. La spinta che ci guida è l’intenzione. Scegliamo cosa vogliamo realizzare, per cosa vogliamo agire, cosa vogliamo esprimere. Senza fermarci a valutare le probabilità di successo per poi procedere solo se ci sembra probabile, mettiamo a fuoco la nostra intenzione, e da lei ci lasciamo guidare.
La maggior parte dei libri che trattano temi globali sono incentrati o sui problemi che dobbiamo affrontare, o sulle soluzioni. In questo libro accenniamo ad entrambi, ma ci focalizziamo soprattutto su come sostenere e rafforzare la nostra intenzione ad agire, in modo da poter giocare al meglio il nostro ruolo, unico e personale, nella guarigione del nostro mondo."

(Joanna Macy, Chris Johnstone  "SPERANZA ATTIVA - Come affrontare la catastrofe senza perdere la ragione")

Kabul era diventa il paradigma della violenza

 " Kabul era diventa il paradigma della violenza, che esplodeva in tanti modi, che scardinava la società e la sua cultura, uno degli spaventosi effetti della guerra, un effetto a lungo termine."

[Gino Strada in: "Una persona alla volta"  2022]

la stragrande maggioranza dei feriti erano civili

 " quei dati erano incontestabili: la stragrande maggioranza dei feriti erano civili. Gente normale che stava facendo la propria vita prima che una smitragliata o un'esplosione gliela cambiasse per sempre. 
  Avevo, prima di allora, un'idea diversa della guerra: immaginavo lo scontrarsi di eserciti in ampie radure, le imboscate delle colonne corazzate nel deserto, gli attacchi alle roccaforti nemiche, i siluramenti di imbarcazioni straniere.
  Il fratello di mio padre era marinaio ed era morto in guerra, nella battaglia di capo Matapan, in Grecia: finì a fondo con il suo incrociatore. Conservo ancora le foto e le poche lettere che riuscì a spedire e la ciocca di capelli neri che mia nonna gli tagliò prima che partisse. Ma era in qualche modo normale, inevitabile, che i combattenti perdessero la vita, essendo la morte dell'uno l'obiettivo dell'altro.
  Se nove vittime su dieci sono civili, però, non è più normale. Non è più la stessa guerra, non si dovrebbe nemmeno chiamarla tale."

[Gino Strada in: "Una persona alla volta"  2022]

evitare la parola divisiva, aspra e futile

 " evitare la parola divisiva, aspra e futile. La maldicenza e il vaniloquio sono dolorosi e così comuni da passare inosservati alle nostre orecchie, ma non al cuore che si restringe e si intristisce. Ci abituiamo a parlare dettati dai veleni della mente. Riuscire poi a dire il vero senza durezza o asprezza è il lavoro di una vita. [..] Una svolta verso il rallentamento: la passione del vero può diventare fondamentalismo dell'autenticità che non vede più l'altro, non rispetta, tanto quanto il mentire, nascondere, fingere, essere cortesemente ipocriti."  
[Chandra Livia Candiani in: "Il silenzio è cosa viva. - L'arte della meditazione" 2018]

mercoledì 31 agosto 2022

agendo per renderlo più probabile

" Non potendo sapere cosa ci riserva il futuro,
è meglio che chiariamo cosa vorremmo accadesse,
agendo per renderlo più probabile."

(Joanna Macy, Chris Johnstone  "SPERANZA ATTIVA - Come affrontare la catastrofe senza perdere la ragione")

venerdì 11 marzo 2022

il pane degli uomini è quello che è

 ".. il pane degli uomini è quello che è,
un miscuglio di invidia e di malizia,
talvolta un pò di carità,
in cui fermenta un lievito di paura
che fa crescere ciò che è cattivo
e afflosciare ciò che è buono .."

(José Saramago in: "Il vangelo secondo Gesù Cristo" 1997)