lunedì 12 luglio 2021

 L'educazione

I nuovi cittadini di una futuribile società libera vivranno in un sistema economico e sociale dove non si crescerà all'infinito, ma si vivrà rispettando le possibilità individuali, collettive e soprattutto del pianeta che è la casa comune dei viventi, e dove la collettività cercherà l'orizzontalità - intesa come uguaglianza e condivisione - e non la verticalità come imposizione del più forte grazie alla sua posizione di privilegio.

Rispetto, solidarietà, spirito di condivisione e convivenza, empatia tra individui della stessa specie e tra specie diverse, potranno diventare le vere fondamenta della società solo se le nuove generazioni saranno abituate a considerarle tali: la scuola del futuro avrà un enorme lavoro da compiere per essere realmente il veicolo di un nuovo concetto di educazione e di società. Non più un'educazione che propini un modello cui aderire, ma che spieghi, che punti alla consapevolezza e alla responsabilità individuale, che proponga e che ascolti, mettendo a disposizione gli strumenti necessari all'individuo per una vera realizzazione come singolo e come elemento della collettività.

Tra gli strumenti della scuola del domani, dovrebbero del tutto mancare concetti legati alla gerarchia, alla sopraffazione, alla discriminazione e più in generale alla violenza: se non saremo più educati e abituati alla violenza, essa difficilmente potrà farsi spazio tra le nostre idee. Soffermiamoci per un momento a pensare a quanta aggressività è presente in ogni ambito ludico, educativo, commerciale e culturale che interessa i minori: la violenza è onnipresente, nei libri di testo scolastici, nelle favole e nelle storie per i più piccoli, nei giocattoli, nelle pubblicità commerciali, nei cartoni animati e nei film.

Secondo Giuliano Pontara (uno dei maggiori studiosi e conoscitori a livello internazionale del pensiero di Gandhi), una società nonviolenta potrà esistere solo se avvierà un programma di educazione permanente alla nonviolenza, volto allo sviluppo di personalità nonviolente all'interno di un contesto educativo libero, improntato alla tolleranza e privo di dogmatismi e imposizioni, in cui non dovrebbe esistere l'ottica dell'infallibilità degli insegnamenti e dei saperi (leggasi dei dogmatismi).

Il primo passo per la futura società dell'acrescita è quindi l'educazione nonviolenta dei suoi nuovi membri, che potrà essere gradualmente raggiunta proprio abbandonando ciò che oggi viene insegnato a scuola: il rispetto di regole e di modelli educativi obsoleti (voti, pagelle, punizioni, coercizioni), l'organizzazione verticale dell'insegnamento, la contrapposizione tra insegnante e studente, il carrierismo, la competizione e l'arrivismo delle facoltà universitarie, tutto questo dovrà scomparire per far spazio a modelli d'insegnamento liberi, aperti al contatto con la natura e con gli altri, per imparare a conoscere, comprendere e rispettare, e non per soggiogare o sfruttare. Un modello educativo sostitutivo basato non su una visione violenta e antropocentrica, ma sull'empatia, sull'imme-desimarsi degli studenti nell'altro, sul comprenderne le istanze, sul condividerne la visione per riuscire a schierarsi sempre dalla parte di chi è più debole e svantaggiato. In questo modo si potrebbe favorire una cultura egualitaria in grado di tenere fuori dalla vita pubblica e privata atteggiamenti intolleranti, violenti o di sopraffazione, perché per combattere il mito della violenza è necessario costruire una vera e propria alternativa psicologica, che lo sostituisca in toto.

Nella nostra scuola immaginaria si dovrebbe studiare il ruolo dell'Umano nella sua globalità e in relazione con le altre specie viventi e con il pianeta. Sarebbe necessario quindi un contatto diretto e costante con la materia di studio più importante: cosa e chi ci circonda. Tra le numerose opzioni è fondamentale, come suggerisce Fritjof Capra nel suo bel libro Ecoalfabeto. L'orto dei bambini, spiegare in modo semplice e diretto ai più piccoli come coltivare un orto scolastico, anche per far comprendere un pensiero, definito «sistemico»11, che li aiuti a rispettare la fitta rete di rapporti che ci lega agli altri viventi e all'ambiente che con loro condividiamo. Seduti in cerchio sull'erba intorno a un orto, bimbe e bimbi potrebbero apprendere il funzionamento (anch'esso circolare) dei cicli naturali, traendo da tali esperienze dei principi di carattere generale:

Quando il pensiero sistemico viene applicato allo studio delle relazioni multiple che collegano tra loro i membri della famiglia terrestre, si possono distinguere alcuni principi di base. Possono essere chiamati principi ecologici, principi di sostenibilità, o principi comunitari; oppure si possono persino chiamare i fatti essenziali della vita. Serve un programma scolastico che insegni ai nostri bambini i seguenti fatti fondamentali della vita:

- che un ecosistema non genera rifiuti, dato che gli scarti di una specie sono il cibo di un'altra;

- che la materia circola continuamente attraverso la rete della vita;

- che l'energia che alimenta questi cicli ecologici deriva dal sole;

- che la diversità garantisce la capacità di recupero;

- che la vita sin dai suoi primordi, più di tre miliardi di anni fa, non ha conquistato il pianeta con la lotta ma con la collaborazione, l'associazione e la formazione di reti.

Insegnare questa coscienza ecologica, che è anche un'antica saggezza, sarà la funzione più importante dell'istruzione nel prossimo secolo.

Attraverso una vera e profonda coscienza ecologica, le generazioni future potrebbero reimparare a rapportarsi correttamente con la natura anche attraverso ecoalfabeti come quelli proposti da Capra, che in sostanza non sono altro che lezioni non su, ma con chi vive su questo pianeta insieme a noi. Attraverso la realizzazione e la cura dell'orto, i bambini si abituerebbero a pensare al funzionamento ciclico naturale dove tutto deve essere fatto e rifatto senza soluzione di continuità. L'idea stessa di studiare producendo e tutelando un orto - godendo anche dei suoi frutti - eviterebbe il distacco culturale e ontologico dalla natura come invece avviene ora, e permetterebbe ai più piccoli di rimanere in contatto con le esigenze e i ritmi naturali comprendendoli, apprezzandoli, e soprattutto facendoli propri.

Una nuova educazione alla tolleranza e al rispetto può passare in questo modo anche attraverso il concetto del pianeta Terra come un organismo vivente complesso13, capace di autoregolarsi, di reagire alle diverse situazioni per ripristinare un equilibrio, e di sopravvivere proprio grazie a una complicata e mirabile rete di rapporti tra viventi e non viventi. Questo e altri concetti simili aiuterebbero a comprendere che ogni nostra azione ha delle ripercussioni sugli altri, intesi come abitanti o compagni che condividono con noi la Terra, e sul pianeta stesso.

Aule, banchi, mura o edifici scolastici, potrebbero essere semplicemente sostituiti da lezioni all'aperto o all'ombra di un grande albero, dove tenere incontri liberi di persone di ogni età, così da poter osservare, capire e studiare, ma anche proporre e commentare, il tutto attraverso un nuovo linguaggio, un lessico che, tornando alla questione evidenziata da Pontara, non comprenda più il vasto repertorio di termini, utilizzati giornalmente, che sono veicolo di concetti di violenza e sopraffazione. Imparare a comunicare senza ricorrere a stereotipi e archetipi che sottendono un pensiero discriminatorio è la base per un corretto approccio all'esistenza: il linguaggio non serve solo a comunicare, ma plasma i concetti espressi e di conseguenza forma le menti, ed essendo inoltre il mezzo con cui si descrive la realtà, ne permette una descrizione parziale condizionandone la percezione stessa14. Indubbiamente il linguaggio che siamo abituati a impiegare - che la scuola, la famiglia, la società, i mass media ci hanno abituato a utilizzare - serve per trasmettere l'idea che la nostra società ha del mondo: un'immensa risorsa da sfruttare a nostra completa disposizione. Leggendo un qualsiasi quotidiano o seguendo un programma televisivo, è possibile rendersi immediatamente conto che esistono ben poche parole per comprendere e solidarizzare con gli altri, ma ne esistono moltissime per offenderli, denigrarli e attaccarli.

A volte non possiamo esprimere un nostro pensiero, un'emozione, un sentimento semplicemente perché non troviamo le parole adatte per farlo, questo a causa di una nostra personale povertà lessicale, ma anche perché in effetti il linguaggio che utilizziamo non sempre è in grado di dare una forma adeguata ai nostri pensieri15. Tuttavia questa difficoltà non si manifesta quasi mai quando vogliamo trovare giustificazioni al nostro comportamento individuale o di specie: la nostra è una modalità espressiva egoistica e autogiustificativa, c'è poco spazio per l'empatia e per l'altruismo nelle parole che conosciamo.

I membri della nuova società umana non dovrebbero più esprimersi come facciamo adesso, ma potrebbero utilizzare linguaggi e concetti molto più ampi e slegati dalla nostra presunta "eccezionalità" di specie. Questo non solo per avviare una nuova fase di rapporti intraspecifici, che ci permettano di confrontarci con gli altri senza stabilire immediatamente delle gerarchie, ma soprattutto per adottare una nuova visione nel nostro rapporto con gli Animali, che oggi sono esclusi dal nostro immaginario e sono relegati al mero ruolo di beni, oggetti o esseri inferiori.

La centralità della questione animale è a mio avviso indiscutibile: i rapporti che abbiamo con gli Animali sono al contempo causa ed effetto dei rapporti che poniamo in essere nella nostra società con i nostri simili, e della stessa visione che abbiamo del nostro ruolo su questo pianeta (come vedremo in dettaglio fra breve). Non per nulla le frasi con riferimento negativo agli Animali nel nostro lessico quotidiano si sprecano, una fra tutte "trattati come Animali"16. Un nuovo linguaggio, liberato da concetti arcaici e violenti e da stereotipi antropocentrici, potrà rappresentare la base per una diversa interpretazione dell'alterità17, adottando nuove forme idiomatiche orientate all'espressione dei sentimenti personali, all'esplorazione della sfera emotiva e al rispetto delle altrui esigenze e caratteristiche.


in:  Bruna Bianchi, Paolo Cacciari,Adriano Fragano, Paolo Scroccaro "Immaginare la società della decrescita-percorsi sostenibili verso l'età del doposviluppo"  2012  Terra Nuova Edizioni

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