lunedì 12 luglio 2021

Ecoalfabetizzare, cioè investire in un capitale culturale adatto al nostro tempo

Il concetto di capitale culturale, o di ecoalfabetizzazione può sembrare qualcosa di astratto, ma non è così. Ogni civiltà ha avuto il suo capitale culturale, che l'ha caratterizzata in senso qualitativo, permettendole di instaurare un determinato rapporto tra uomo e natura. Il capitale culturale dell'antica Grecia era costituito, almeno in parte, da una paideia del senso del limite, cosmocentricamente orientata. Il capitale culturale degli ultimi secoli invece si è configurato in senso sviluppista e risulta ormai del tutto inadeguato: oggi abbiamo bisogno di un capitale culturale di tutt'altro genere, che possiamo indicare con il termine ecoalfabetizzazione. Come ha ben spiegato Fritjof Capra in vari interventi, tutta la nostra società ha bisogno di alfabetizzazione ecologica, compresi ovviamente i politici, i dirigenti, gli impresari, gli amministratori, gli insegnanti: questo perché in linea di massima si continua a operare assurdamente come se ci si trovasse in un contesto di "mondo vuoto", e già questo è un chiaro segnale preoccupante di analfabetismo ecologico.

L'ecoalfabetizzazione insegna che, nel mondo ipersaturato di oggi, le vecchie parole d'ordine (crescita, sviluppo quantitativo, espansione ecc.) sono pericolose e controproducenti, per cui occorre da subito una nuova strumentazione culturale per orientarsi nella società complessa del "mondo pieno". Ecco perché è assolutamente indispensabile e prioritario investire in un capitale culturale adatto al nostro tempo, cioè in ecoalfabetizzazione: i passi successivi richiedono preventivamente questo minimum di consapevolezza storica ed ecologica, e tutto sarà più logico e scorrevole. Per esempio, risulterà più facile approvare l'idea secondo cui le politiche territoriali non devono essere per forza votate alla crescita del PIL; allo stesso modo, diventerà ovvio valutare qualsiasi iniziativa economica nei suoi aspetti positivi e negativi, senza occultare o sottostimare le esternalità negative. Qui di seguito ricapitoliamo alcune indicazioni di fondo, dal valore strategico, che ne derivano.

Ecosistemi e aree selvagge al primo posto

Le politiche territoriali devono mettere al primo posto la protezione e la valorizzazione degli ecosistemi e dei relativi servizi, che costituiscono la base indispensabile della rete della vita. L'economia ecologica insegna che nella nostra epoca il cosiddetto "fattore limitante" più significativo non è la carenza di forza lavoro, e nemmeno di energia, come accadeva in epoche precedenti alla nostra, bensì il cosiddetto "capitale naturale", espressione un po' antipatica, ma che in definitiva indica le risorse naturali, i sistemi ecologici, cioè la natura nel suo insieme. Abbiamo visto che l'avanzare della crescita comporta il progressivo degrado di molti ecosistemi, in molti casi irreversibile: poiché non stiamo parlando di manufatti replicabili o sostituibili, è evidente che il declino e il restringimento degli ecosistemi costituisce per la nostra epoca e per il futuro il fattore limitante per antonomasia.

Proprio per questo il capitale naturale dovrebbe stare in cima alle preoccupazioni politiche, amministrative e paesaggistiche del nostro tempo. Come fanno i governi a non tenerne conto? In fin dei conti stiamo parlando di cose ovvie che tutti dovrebbero sapere: ma i popoli cosiddetti civilizzati hanno perso questa consapevolezza elementare, il che la dice lunga sul loro grado di deculturazione rispetto a popolazioni tribali considerate incivili e primitive.

in:  Bruna Bianchi, Paolo Cacciari,Adriano Fragano, Paolo Scroccaro "Immaginare la società della decrescita-percorsi sostenibili verso l'età del doposviluppo"  2012  Terra Nuova Edizioni

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